AFTER WORK di Erik Gandini

13/06/2023

Come già con Videocracy, Erik Gandini torna a frequentare il genere filmico del documentario, dove non compaiono attori professionisti impegnati ad interpretare una trama scritta da uno sceneggiatore, ma si succedono invece persone realmente esistenti, presentate con il loro nome e riprese nel loro vero ambiente di lavoro o di vita familiare, mentre raccontano le proprie esperienze.

Il tema in questo caso è il lavoro o meglio, come dice il titolo, “Dopo il lavoro” e quindi cosa succede quando qualcuno smette di lavorare. Al titolo del film è associato un sottotitolo che recita “Cosa faremo quando non dovremo più lavorare” e questo fotografa chiaramente l’impronta filosofica o psicologica che il regista vuole dare al suo documentario.

Il suo assunto è: nel mondo civilizzato attuale il lavoro è l’attività cui dedichiamo la maggior parte del tempo durante la maggior parte della nostra vita, quindi come reagirà l’umanità all’impatto emotivo che si avrà quando i progressi della tecnica sposteranno il lavoro sempre più sulle spalle di robot e intelligenze artificiali?

Una serie di dati citati e di testimonianze dirette da vari paesi tendono effettivamente a dimostrare quanto il lavoro sia per alcune popolazioni quasi una droga. Si va così dalla Corea del Sud, dove gli impiegati delle grandi ditte si sentono in dovere di restare in ufficio fino alle 23 perché è disonorevole essere i primi a lasciare il lavoro, agli USA dove i lavoratori non utilizzano mai tutte le ferie cui avrebbero diritto per contratto e nel solo 2018 hanno complessivamente rinunciato a quasi 800 milioni di giorni di ferie (anche per il significativo fatto che negli USA non sempre le ferie sono retribuite).

È interessante notare come questo super-attaccamento al lavoro abbia principalmente una matrice religiosa, derivante dal dogma calvinista che solo il lavoro duro e il successo economico garantiscono l’accesso al Paradiso. Convinzione che poi è stata la base socio-culturale su cui si è sviluppato il capitalismo, e non a caso gli esempi citati di super lavoro sono negli USA, patria del capitalismo, e nelle democrazie orientali come Corea e Giappone che più di tutte hanno assorbito lo stile di vita americano dopo la seconda guerra mondiale.

Per contrasto il film presenta anche casi di persone o popoli interi che vivono praticamente senza lavorare, una ricca ereditiera italiana che passa le sue giornate a curare il bellissimo giardino, o i cittadini del Kuwait che, grazie al loro numero ristretto e agli enormi profitti petroliferi del paese, hanno tutti un reddito garantito dallo Stato senza dover lavorare. Ma queste chiaramente non sono situazioni che si possano considerare “standard”.

Resta dunque il quesito esistenziale che solletica la curiosità del regista: come faranno i poveri coreani o statunitensi ad adattarsi a una vita di ozio, quando non dovranno più lavorare?

Con tutto il rispetto per i tormenti psicologici dei neo oziosi, a nostro parere il sottotitolo più adatto del film non doveva essere “Cosa faremo quando non dovremo più lavorare” bensì “Come camperemo quando non avremo più da lavorare”. Perché a meno di diventare tutti ereditieri o kuwaitiani, quando robot e AI toglieranno tutti i posti di lavoro non si capisce chi ci darà da mangiare. Qualcuno nel film accenna che servirebbe un reddito universale, ma se già il limitato reddito di cittadinanza introdotto in Italia negli anni scorsi ha quasi dissestato il bilancio statale, chi mai potrà dare un “reddito di cittadinanza del mondo” a 8 miliardi di persone?

Il film, che resta nondimeno un interessante invito alla riflessione su problemi epocali, è diretto da Erik GANDINI. I protagonisti come detto non sono attori ma persone del mondo reale che raccontano le loro esperienze lavorative o commentano i trend del mondo del lavoro, come il filosofo Noam CHOMSKY o il sociologo Luca RICOLFI. Il film è in sala dal 15 giugno 2023.

Ugo Dell’Arciprete