Con Jennifer Lawrence, Max Thieriot, Elizabeth Shue, Gil Bellows

Hates - House at the End of the Street di Mark Tonderai

  Cultura e società   

Dal 20 giugno sarà al cinema HATES, thriller psicologico con il premio Oscar Jennifer Lawrence, reduce dal successo mondiale di Hunger Games e de Il Lato Positivo, e la candidata al premio Oscar Elisabeth Shue.

Thriller psicologico o potremmo dire psicopatico, visto che l’effetto thriller non è dovuto a mostri, alieni, zombi o lupi mannari, bensì ai fantasmi che agitano la mente di una persona, ed agli atti conseguenti (come nel capostipite del genere, il famoso Psycho). Naturalmente non diremo qui chi è questa persona, per non togliere l’effetto sorpresa, ma diciamo solo che per buona parte del film questa identità non è svelata, mantenendo quindi un clima di suspense. Inoltre, anche quando l’identità diventa chiara, è solo nelle scene finali che si comprende in pieno quali antefatti abbiano condizionato il comportamento di questa persona.

Un breve flashback ci informa, all’inizio del film, che una notte di quattro anni prima una coppia venne assassinata in un inspiegabile attacco di follia dalla figlia handicappata che poi scomparve. La scena passa quindi ai giorni nostri, quando una teenager, Elissa, e la madre divorziata, Sarah, si trasferiscono nella casa accanto a quella dove si è consumato il massacro. C’è un unico sopravvissuto, un giovane di nome Ryan, figlio della coppia uccisa, che ancora vive nella casa. Elissa ne è presto attratta: Ryan sembra uno spirito affine, incompreso e appassionato, e Elissa gli sta vicino nel suo isolamento, visto che la comunità lo tiene ancora alla larga da quando la sorella pazza Carrie commise la strage.

È solo gradualmente che lo spettatore scopre cosa realmente avvenne quella notte, man mano che viene a conoscere meglio le personalità dei protagonisti. A fare da sfondo alla vicenda thriller c’è anche il rapporto tra Elissa e Sarah, che non è un rapporto madre-figlia stereotipato. E anzi, Elissa è un po’ più responsabile di Sarah. “Ero appena diventato padre e sentivo fortemente di volermi confrontare con il tema dell’essere genitori”, dice il regista. “Non ho mai dimenticato che questo film è un thriller, ma parla anche di genitori e di come possono aiutarci a diventare chi siamo. Ed è una storia d’amore. Una ragazza si trasferisce in una nuova casa. Finisce per innamorarsi del vicino che è sopravvissuto a un evento terribile. Tutta la comunità è contro di loro, e questo è un elemento molto romantico”.

Grazie ai continui e inaspettati colpi di scena il film è permeato da un intenso senso di paura e una crescente suspense. Elizabeth Shue, che interpreta Sarah, ha dichiarato: Di solito riesco a prevederli [i colpi di scena], ma ero sorpresa mentre leggevo la sceneggiatura. La cosa bella è che non sono messi lì solamente per choccare. Sono parte integrante della storia, il che rende il tutto più ossessionante e pauroso. Il film è teso e spaventoso dal primo momento. Si dice che la ragazza che ha pugnalato i genitori viva nella foresta, e fin dalla prima inquadratura, si ha la sensazione che qualcuno stia spiando. Questo elemento pervade l’atmosfera del film e fa salire la tensione.

Il film è sia intelligente che pauroso, dice Shue, una combinazione rara nella sua esperienza d’attrice. Penso che il pubblico sarà spaventato dalla primissima inquadratura fino alla fine del film. Sarà assorbito dalla complessità psicologica dei personaggi e poi terrorizzato perché ci sono dei momenti veramente paurosi che lo faranno saltare sulla poltrona.

Ovviamente, come si suol dire, nulla di nuovo sotto il sole, le scene che scatenano l’adrenalina nello spettatore di HATES sono cose già viste in altri film: fitti boschi in cui si nasconde una minaccia, assassini nascosti dietro la porta che attaccano d’improvviso il malcapitato, protagonisti buoni braccati dal cattivo di turno e costretti a nascondersi nell’angolo più buio della cantina. Nondimeno, quando questi elementi sono dosati sapientemente e filmati bene, il loro effetto lo fanno sempre.

Solo due cose ci sono sembrate stonate: la prima è il titolo, dove la parola hates (odii) è formata con un improbabile acronimo (la casa è in mezzo al bosco e non in fondo alla strada). Almeno per la versione italiana si poteva trovare con un po’ più di fantasia un titolo migliore. Il secondo neo (a nostro giudizio) è il ricorso all’abusato stereotipo del “ritorno di fiamma”: la scena finale in cui il cattivo, dopo essere crollato a terra con varie pallottole in corpo, improvvisamente risorge più vispo che mai per portare un’ultima minaccia ai protagonisti buoni che credevano ormai di averlo eliminato. Oramai è diventato come i bis ai concerti, una fase data per scontata da tutti gli spettatori.

Si tratta comunque di piccole sbavature, in un contesto generale che sicuramente soddisferà quella platea un po’ masochista cui piace andare al cinema per mettere alla prova le proprie coronarie.

Ugo Dell’Arciprete

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