FOCUS ON LINE - RIVISTA N° 2, 16 febbraio 2020

Cultura e società , Editoria e comunicazione

Memorie di un assassino: un altro capolavoro di Bong Joon Ho
Dopo il trionfo agli Oscar, il regista coreano torna sugli schermi con il precedente capolavoro del 2003

Nel thriller avvincente, Memorie di un assassino, il regista miscela perfettamente, proprio come in Parasite, i registri comico e drammatico che ormai sono la cifra del suo miglior cinema, davvero da Oscar.

Tratto da una storia vera, il film Memorie di un assassino segue le avventure di due poliziotti e di un investigatore di Seul sulle tracce di un serial killer.

In un piccolo villaggio, nel 1986, viene trovata una giovane donna brutalmente assassinata. Due mesi dopo, un crimine molto simile, attira l’attenzione dell’opinione pubblica. Lo spettro di un assassino seriale fa sprofondare l’intera regione nel terrore. Due poliziotti locali, tanto brutali quanto impreparati, indagano con mezzi poco ortodossi al limite del ridicolo, alla ricerca più di un capro espiatorio che di un vero colpevole. Si unirà a loro un terzo detective, in arrivo direttamente da Seul. Penserà di poter risolvere il caso ma, fra errori e false piste, verrà trascinato negli abissi di un’indagine senza apparente risoluzione.

Song Kang-ho, uno dei migliori attori della sua generazione, è il protagonista dubbioso e in difficoltà, che si interroga senza trovare risposte.

Come è possibile che l'uomo possa compiere atti simili? E forse è tutto colpa della società in cui viviamo?

Memories of Murder è davvero un film rivelatore sulla situazione di ignoranza e violenza sotto il regime militare coreano, in cui le assurdità individuali rispecchiano quelle collettive.

Il regime è tutto nelle scelte, nelle decisioni, nelle ipocrisie, nella paura della gente, ormai priva di fiducia nei confronti della polizia e dei suoi abusi.

Che d’altronde è ben riposta, data l’incapacità dei responsabili della giustizia, che arrivano a falsificare le prove, pur di avere un colpevole.

La comicità e l’ironia della narrazione mettono ancora più in evidenza l’assurdo delle vicende che conducono tragicamente alla impossibilità di trovare la verità.

Al termine, la scena finale rivela anche “la banalità del male” quando una bambina che ha visto l’assassino afferma di non aver notato alcuna caratteristica nel suo viso, se non una assoluta “normalità”.