In the box di Giacomo Lesina

23/04/2015

“In the box” si potrebbe a buon diritto definire uno “one man [o in questo caso woman] show”. Infatti per buona parte del film la brava Antonia Liskova occupa da sola la scena nei panni di Elena, una giovane donna che si risveglia con polsi e caviglie legati dentro un’automobile, chiusa tra le quattro mura di un garage.

Riuscita infine a liberarsi dagli legami, Elena scopre con terrore che dall’automobile comincia ad uscire il velenoso gas di scarico e ogni tentativo di interromperne il flusso è vano. Il suo sequestratore la contatta tramite un telefono cellulare lasciato nella sua borsetta, e comincia con Elena un cinico gioco del gatto con il topo: le comunica che il gas la ucciderà entro 90 minuti se non riuscirà a trovare il modo di salvarsi, e anzi per aumentarne l’angoscia le ha lasciato dentro il garage un canarino in gabbia, la cui morte precederà di pochi minuti la morte di Elena stessa.

Il fatto di essere stata rinchiusa nel garage mentre era svenuta fa sì che la donna non abbia idea di dove si trova e quindi, pur riuscendo a chiamare la polizia dal cellulare, non è in grado di dire dove venirla a cercare. A differenza di taluni telefilm americani dove il detective del caso riesce da 10 secondi di telefonata a dire con estrema esattezza da dove questa proveniva, il detective di “In the box” sembra essere un impiegato ministeriale italiano per la lentezza con cui reagisce e per il numero di autorizzazioni che richiede prima di poter fare qualcosa.

Da altre telefonate che Elena riesce a fare prima che il suo cellulare si scarichi riusciamo ad apprendere alcuni particolari della sua vita e a scoprire che anche lei ha diversi scheletri nei suoi armadi. Ha però anche una figlioletta piccola a cui vuole un gran bene e per rivedere la quale tenta di tutto per salvarsi. Il sadico sequestratore la metterà per questo in una drammatica situazione di dover scegliere tra la propria vita e quella di un piccolo innocente.

Naturalmente non racconteremo qui lo svilupparsi della vicenda e soprattutto il finale. Diciamo solo che le battute finali, per quanto ricche di colpi di scena, non si preoccupano eccessivamente di chiarire gli antefatti (chi è il sequestratore, perché ce l’ha tanto con Elena, perché ha messo in atto questo meccanismo di tortura psicologica complesso e suscettibile di mettere in grave pericolo il sequestratore stesso e suo figlio). Insomma lo spettatore non si aspetti un giallo alla Agatha Christie, dove alla fine Poirot ricostruisce tutti i fatti e inchioda l’assassino alla giustizia: “In the box” vive soprattutto della situazione di tensione in cui Elena dapprima cerca un sistema per uscire dal garage dove è rinchiusa, e poi deve affrontare la scelta drammatica se salvare se stessa o un innocente.

La situazione quindi è un misto tra i videogame in cui il protagonista deve ispezionare l’ambiente in cui si trova per capire come può utilizzare gli oggetti disponibili per riuscire nel proprio scopo (uccidere nemici, trovare un tesoro, uscire da un labirinto), e i film della serie Saw l’enigmista in cui una o più vittime vengono costrette da un sadico regista a fare del male a se stessi o all’altro. Peraltro, a differenza di Saw, in questo film mancano assolutamente scene splatter e la tensione è solo psicologica.

Nel complesso “In the box” può piacere a chi al cinema cerca una dose di adrenalina e, perché no, anche qualche richiamo subliminale alle alienazioni della vita moderna, con le persone chiuse nel proprio microcosmo, rimaste in contatto con gli altri solo attraverso la tecnologia e costrette ad una spietata competizione.

Il film, diretto da Giacomo Lesina, è interpretato da Antonia Liskova, Niccolò Alaimo, Jonathan Silvestri. È in sala dal 23 aprile.

Ugo Dell’Arciprete