Nuovi approcci di cura e counselling mirato aiutano le donne a realizzare il desiderio di maternità

Malattie reumatiche e maternità

  Salute  

Le poliartriti croniche, patologie infiammatorie come l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica e le spondiloartriti che rientrano nella ben più vasta categoria delle malattie reumatiche, un gruppo di oltre 150 malattie che nel nostro Paese affliggono più di cinque milioni di persone, colpiscono circa 1,5 milioni di persone in Italia e hanno caratteristiche, cause e sintomi diversi.

Inoltre, le poliartriti croniche, “preferisconole donne ed esordiscono spesso in età giovanile, nel pieno della fertilità femminile, incidendo in modo significativo sulla qualità della vita.

Le poliartriti croniche colpiscono generalmente le articolazioni, a volte in maniera silenziosa e subdola, e possono cambiare l’aspetto fisico in modo evidente, rendendo più difficili i rapporti interpersonali e con ripercussioni importanti sul piano affettivo e sociale, specie per l’universo femminile. Non solo. Ad aggravare il quadro vi è anche la paura di non vedere mai realizzato il proprio desiderio di maternità. Le donne affette da una poliartrite cronica, infatti, si trovano spesso davanti a un bivio, combattute tra la possibilità di continuare le terapie mettendo a rischio la salute del proprio bambino, oppure di sospenderle con un alto rischio di riacutizzazione della malattia.

Non esistono dati aggiornati, ma le stime disponibili mostrano che circa il 30% delle pazienti affette da una di queste patologie non ha pianificato una gravidanza, forse anche a causa della mancanza di un approccio mirato e approfondito sulla tematica della pianificazione familiare da parte degli specialisti. In passato, infatti, si consigliava alle donne con malattie reumatiche di stare attente a non avere figli, ma oggi la situazione è molto diversa e le pazienti possono pensare di ‘allargare la famiglia’ con più serenità grazie a farmaci biologici innovativi e a nuovi approcci di gestione della patologia.

Abbiamo lavorato molto per cambiare rotta nell’approccio alle pazienti e offrire un counselling più mirato. Questo è stato possibile anche grazie all’arrivo di farmaci biologici sicuri sia prima del concepimento che durante la gestazione e che oggi ci consentono di tenere sotto controllo la malattia, ma anche di accompagnare le pazienti verso la maternità. - commenta Angela Tincani, Ordinario di Reumatologia all’Università degli Studi di Brescia e Direttore UO Reumatologia ed Immunologia Clinica Spedali Civili di Brescia - Le pazienti sono spesso timide riguardo a questo aspetto, ma è importante condividere con il proprio medico l’intenzione di pianificare una gravidanza sin dall’inizio del percorso di cura per permettere allo specialista di creare le condizioni migliori per la procreazione, scegliendo le terapie più appropriate. Ad esempio, certolizumab pegol è ad oggi il farmaco biologico più testato e sicuro per la donna in gravidanza e in allattamento in quanto, in studi specifici, ha mostrato un passaggio praticamente nullo del farmaco dalla mamma verso il bambino. Queste caratteristiche ne fanno un’opzione terapeutica molto valida, che minimizza i rischi dati da altre terapie.

La paura maggiore delle future mamme è infatti quella di mettere a rischio la salute del proprio bambino a causa dell’effetto teratogeno di alcuni farmaci che, se assunti durante la gestazione, possono portare alla comparsa di malformazioni o a potenziali deficit del sistema immunitario del bambino.

Certolizumab pegol è un anticorpo monoclonale che, grazie alla sua particolare struttura molecolare, apre la strada a un nuovo approccio di gestione delle malattie reumatiche rispondendo al desiderio di maternità di molte donne in età fertile. A differenza di altri farmaci anti-TNFα, infatti, certolizumab pegol è privo del frammento cristallizzabile (Fc) e l'assenza di questa porzione impedisce il suo trasferimento attivo attraverso la membrana placentare ed il feto non viene quindi esposto al farmaco.

Un ulteriore aspetto rilevante e positivo è che il farmaco viene oggi somministrato mediante l’utilizzo di ava, il primo e unico dispositivo ad iniezione elettronica riutilizzabile con una serie di caratteristiche e funzionalità specifiche per il paziente, sviluppato proprio in collaborazione con i pazienti non solo per rendere più semplice l’auto-somministrazione del farmaco, ma anche per migliorare il controllo dell’aderenza alla terapia da parte dello specialista. Questo è infatti uno degli aspetti più problematici del percorso terapeutico che i medici si trovano a dover fronteggiare: solo un terzo dei pazienti dichiara una totale aderenza alla terapia mentre la restante parte ne trascura sia la conformità - cioè non segue correttamente la prescrizione dello specialista - sia la sua continuità e la persistenza per l’intera durata indicata dal medico.

L’aderenza alla terapia è un aspetto fondamentale del percorso di cura dei pazienti e, senza di essa, non si può pensare di ottenere una risposta clinica ottimale. Quando un paziente non aderisce in modo adeguato alla terapia, non solo la sua qualità di vita non migliora, ma si rischia di modificare la strategia terapeutica in modo non appropriato, rendendo più difficile la valutazione dello specialista e la definizione del trattamento più adeguato alle esigenze del paziente. - spiega Florenzo Iannone, Professore di Reumatologia alla Scuola di Medicina Università degli Studi di Bari - L’utilizzo di un dispositivo come ava® permette invece di stabilire in modo oggettivo l’aderenza terapeutica, la giusta esecuzione dell’iniezione e la regolarità della somministrazione del farmaco secondo la continuità prescritta dal medico. L’aderenza raggiunge quindi il 100% con risultati e indicazioni certe e reali per lo specialista.

L’uso di ava comporta inoltre vantaggi notevoli anche per il paziente, che viene agevolato per tutta la durata del suo percorso terapeutico: il device è facile da usare, dà indicazioni chiare sulle modalità di somministrazione del farmaco, agevola la terapia offrendo un’esperienza per quanto possibile positiva e favorisce il corretto percorso terapeutico grazie alle notifiche delle successive somministrazioni.

Il sostegno alle donne: la campagna #anchiomamma e l’(H)Open day sulle malattie reumatiche autoimmuni

Le Associazioni nazionali di Pazienti reumatici - ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici Onlus e APMAR, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare - e Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, supportate dal contributo non condizionato di UCB Pharma, hanno promosso progetti e iniziative sul territorio con l’obiettivo di informare e sensibilizzare la popolazione femminile sulle malattie reumatiche autoimmuni, guidarle e supportarle nella gestione quotidiana della malattia e vivere più serenamente la propria maternità.

#anchiomamma è la prima campagna social di informazione su malattie reumatiche e pianificazione familiare promossa da ANMAR e APMAR, che nasce per fornire informazioni, fare chiarezza sul percorso da seguire per diventare mamma pur vivendo con una malattia reumatica, favorire il dialogo medico-paziente e rendere le pazienti consapevoli della necessità di pianificare la gravidanza al momento giusto, condividendo un percorso con il reumatologo. Il portale www.anchiomamma.it è il cuore pulsante della campagna, il “luogo” in cui trovare approfondimenti, verificati e validati da un board multidisciplinare di medici, sui vari aspetti legati al diventare mamma: l’intimità, la pianificazione familiare, la gravidanza, il parto, la maternità. Il progetto vive inoltre sulle pagine Facebook e Instagram, le micce per innescare un circolo virtuoso di stimoli positivi, per condividere informazioni, esperienze, aggiornamenti, opportunità.

Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, promuove, invece, la seconda edizione dell’(H)-Open Day dedicato alle malattie reumatiche, in collaborazione con le Associazioni di Pazienti AMRER, (Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna), ANMAR e APMAR, con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità e di SIR, Società Italiana di Reumatologia. Venerdì 10 maggio oltre 95 ospedali aderenti al network Bollini Rosa hanno aperto le loro porte a tutte le donne per offrire gratuitamente differenti servizi clinico-diagnostici ed esami strumentali, oltre a dedicare momenti informativi - come consulenze, colloqui, conferenze, info point - con il supporto e la distribuzione di materiali divulgativi.

Nonostante il grande numero di persone affette da malattie reumatiche croniche, ancora oggi queste patologie sono troppo poco conosciute dalla popolazione ed è per questo che bisogna continuare a lavorare insieme per gettare luce sulle conseguenze personali, familiari, sociali e professionali che queste malattie inevitabilmente portano con sé. - commenta Silvia Tonolo, Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici - Offrire servizi di informazione, prevenzione e diagnosi costituisce un passo fondamentale per ampliare la conoscenza di queste malattie e delle opportunità di cura oggi disponibili e ci auguriamo che queste iniziative raggiungano efficacemente questo obiettivo.

Iniziative come queste svolgono un compito fondamentale: informare e sensibilizzare la popolazione femminile sulle malattie reumatiche nelle loro diverse sfaccettature e diffondere la consapevolezza sui sintomi, le opportunità di prevenzione e diagnosi precoce e le disponibilità di cure. - commenta Antonella Celano, Presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare - Questi appuntamenti, inoltre, rappresentano occasioni preziose per sfatare il mito che le malattie reumatiche interessino solo le persone anziane. Al contrario, sono malattie che hanno spesso un esordio in età giovanile e che colpiscono soprattutto le donne in età fertile, con conseguenze gravi sul piano non solo fisico, ma anche psicologico e relazionale. È quindi molto importante massimizzare gli sforzi per coinvolgere tutte le donne e alzare il livello di attenzione sui rischi e gli effetti che queste patologie hanno sulla loro qualità di vita e sul loro desiderio di maternità.

Conosciamo bene, purtroppo, l’enorme impatto fisico e psicologico di queste patologie sulle donne che ne sono affette ed è anche per questa ragione che abbiamo deciso di proseguire la preziosa collaborazione con le associazioni di pazienti nella realizzazione di un’iniziativa che dedica particolare attenzione alla salute riproduttiva e alla pianificazione familiare, tematiche complesse e molto sentite dalle giovani donne con malattia reumatica. - sostiene Francesca Merzagora, Presidente di Fondazione Onda - Guardare alle malattie reumatiche come malattie ‘al femminile’, adottando quindi un approccio di genere, è fondamentale per migliorare la diagnosi e permettere alle donne di programmare una vita familiare in tutta sicurezza.

Info: www.ucb.com

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