Il film è in sala dal 2 ottobre

Take Five di Guido Lombardi

  Cultura e società   

Il dialetto napoletano è una specie di Giano bifronte: è simpatico ed armonioso nel teatro di Eduardo, nei film di Troisi o nelle canzoni tradizionali tipo O sole mio, ma quando diventa il linguaggio della camorra e della delinquenza tocca vertici di violenza e volgarità come nessun altro dialetto italiano.

È l’impressione che abbiamo riportato da questo film aspro e pieno di tensione, tutto ambientato in una Napoli di piccola e grande malavita, recitato in un linguaggio a volte così stretto da aver bisogno dei sottotitoli per far comprendere le battute agli spettatori non partenopei.

La storia è quella di una rapina progettata e messa in atto da cinque complici, da cui il titolo del film. Non si tratta di una banda esperta ed affiatata, bensì di un gruppetto messo insieme per l’occasione, con un paio di incensurati e qualcuno con precedenti più o meno seri. Tutto nasce dal caso che porta un idraulico, assillato da debiti di gioco, a fare un intervento nel caveau di una banca. La sua conoscenza del sistema fognario cittadino gli fa immaginare un modo per accedere al caveau, e di conoscenza in conoscenza riesce a mettere insieme i compagni per l’impresa. Impresa che in effetti riesce, almeno fino al momento di allontanarsi dalla banca svaligiata: un imprevisto ostacola la via di fuga programmata, e costringe a una soluzione di ripiego che alla fine farà virare l’avventura verso una soluzione tragica.

Infatti fino a questo punto la storia era sembrata tutto sommato quasi una commedia, con quel gruppetto di delinquenti di mezza tacca in fondo simpatici, stile I soliti ignoti o, per venire a titoli più recenti, Ragazze a mano armata. Invece le cose si complicano: finita la rapina la banda si divide in due gruppi: tre banditi, si nascondono nel covo ad aspettare, e gli altri due secondo i piani dovrebbero raggiungerli con il denaro. Però l’incidente avvenuto durante la fuga scombina i piani e da questo punto iniziano litigi, sospetti reciproci, tradimenti che porteranno all’annientamento dell’intera banda in un crescente gioco al massacro.

Protagonisti di questa fase anche una serie di personaggi della malavita “professionista”, che venuti a conoscenza della rapina pretendono di intascare una parte del bottino: anche tra loro non mancheranno bugie, tradimenti e vendette, con ampio spargimento di sangue.

Al termine della visione di Take five è impressionante constatare che non c’è un solo protagonista “buono” se non in parti assolutamente marginali: tutti i personaggi che rivestono nella vicenda ruoli significativi sono malavitosi, chi più chi meno di professione, ma tutti assetati di denaro e pronti per questo a uccidere chi fino a poco prima era un complice o addirittura un amico. Perfino il giovane Emanuele, garzone di bar assoldato dal boss di quartiere per tenere sotto controllo l’arrivo del bottino nel covo, appare già avviato inesorabilmente ad un futuro di delinquenza, anche se nel finale del film è l’unico a salvare almeno la pelle.

In uno spaccato di società così degradato non sorprende che il cast conti quasi unicamente attori maschi: le uniche donne con una presenza di pochi minuti sono la fidanzata di uno dei rapinatori, apparentemente pronta a tutto per promuovere il proprio “book” e diventare modella, e la sorella del boss, anche lei non certo uno stinco di santo.

Fortunatamente sappiamo tutti che a Napoli vivono anche tantissime persone per bene, che si guadagnano da vivere senza rubare o ammazzare, perché se Napoli fosse davvero solo quella che ci appare da Take five verrebbe voglia di associarsi al brutto slogan che compare a volte negli stadi dove il Napoli gioca fuori casa: “Forza Vesuvio!”.

Il film, diretto da Guido Lombardi, è interpretato da Peppe Lanzetta, Salvatore Striano, Salvatore Ruocco, Carmine Paternoster e Gaetano Di Vaio (i cinque rapinatori), Gianfranco Gallo e Antonio Pennarella (il boss e il suo vice), Emanuele Abbate (il garzone).

Ugo Dell’Arciprete

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