E’ importante prevenire ulteriori fratture da fragilità

La frattura di femore nelle donne over 65 anni

  Salute  

Nel nostro Paese, ogni anno, si registrano 94.000 ricoveri per fratture di femore nella sola popolazione over 65 anni e, in 8 casi su 10 (78%), si tratta di donne. Un numero così elevato di fratture di femore, per effetto dell’invecchiamento della popolazione, è destinato, tra l’altro, ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni. Con importanti conseguenze sulla qualità di vita, oltre che sul bilancio del Servizio Sanitario Nazionale, perché nella quasi totalità, queste donne vengono ricoverate in ospedale e operate. Tanto che si calcola che i costi sociali correlati, diretti e indiretti, per le fratture di femore superino il miliardo di Euro all’anno.

Da queste premesse nasce il progetto educazionale integrato “STOP ALLE FRATTURE”, un’iniziativa di grande rilevanza sociale firmata dalle 5 Società Scientifiche alle quali afferiscono tutti gli specialisti di riferimento nell’ambito delle malattie metaboliche dell’osso: SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro), SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia), SIR (Società Italiana di Reumatologia), ORTOMED (Società Italiana di Ortopedia e Medicina) e GISOOS (Gruppo Italiano di Studio in Ortopedia dell’Osteoporosi Severa).

Obiettivo del progetto è quello di sensibilizzare le pazienti in target, donne dai 65 anni d’età in poi con una frattura di femore pregressa, sui rischi legati ad una possibile ri-frattura, offrendo loro, gratuitamente, la possibilità di parlarne con uno specialista.

Nella popolazione femminile, circa i due terzi (64%) di tutte le fratture di femore sono avvenuti in soggetti affetti da osteoporosi e, conseguente, fragilità ossea. Mentre ancora viene sottovalutato il fatto che, nel 70% dei casi, la frattura al femore è anche il campanello d’allarme di fratture vertebrali non diagnosticate.

Dopo i 50 anni – spiega il professor Salvatore Minisola, Presidente SIOMMMS – una donna ha un rischio di morire a causa delle conseguenze di una frattura di femore equivalente al cancro al seno e, addirittura, quattro volte maggiore del rischio di cancro all’endometrio. Inoltre, va sottolineato come, con il progressivo invecchiamento della popolazione, è inevitabile che aumentino tutte le patologie croniche correlate all’età, fra cui l’osteoporosi, che negli ultimi decenni è diventata una vera e propria priorità sanitaria e sociale. Stando alle stime, riteniamo infatti che nei prossimi 40 anni, in assenza di interventi terapeutici mirati a tutta la popolazione a rischio, assisteremo al raddoppiarsi dell’incidenza delle fratture da fragilità ossea. Per questo riteniamo siano quanto mai necessari interventi di natura preventiva che possano informare correttamente le pazienti in target sui rischi legati alla ri-frattura.

La frattura del femore è una conseguenza della fragilità ossea – precisa la prof.ssa Maria Luisa Brandi, Direttore Esecutivo ORTOMED – non sempre, infatti, il trauma è l’unico responsabile, ma spesso il femore si frattura perché l’osso è fragile per l’osteoporosi. Infatti, quando c’è l’osteoporosi le ossa non reggono agli urti anche minimi e si rompono per traumi banali che in condizioni di normalità sarebbero stati sopportati senza alcun problema. La frattura femorale, di norma, viene trattata chirurgicamente ma la vera causa, ossia la fragilità ossea sottostante, in altre parole l’osteoporosi, spesso non viene curata, per cui si potranno avere altre fratture.

La frattura di collo femorale - sottolinea il prof. Marco d’Imporzano, Presidente SIOT – ha importanti conseguenze cliniche, che vanno dalla necessità di interventi chirurgici con periodi di immobilità prolungati al rischio elevato di invalidità con perdita parziale o totale dell’autonomia nelle comuni attività della vita quotidiana, all’aumento significativo del rischio di mortalità. Per affrontare in modo adeguato la malattia è fondamentale identificare i fattori di rischio che ne predispongono l’insorgenza ed organizzare un percorso diagnostico e terapeutico finalizzato a ridurre il rischio delle fratture da fragilità, arrestando così la spirale discendente della salute e della qualità della vita.

Maggior attenzione va riservata alla patologia, ai fattori di rischio ma anche alle malattie associate allo sviluppo dell’osteoporosi e delle fratture, tra cui non sono assolutamente da sottovalutare le malattie reumatiche, quali ad esempio artrite reumatoide: numerosi studi – dichiara a proposito il prof. Giovanni Minisola, Presidente SIR – hanno dimostrato l’associazione tra osteoporosi e molte malattie reumatiche. L’artrite reumatoide, malattia immuno-infiammatoria che interessa prevalentemente le donne, è la condizione nella quale questi aspetti sono stati meglio valutati. Recentemente è stato dimostrato che la prevalenza dell’osteoporosi nelle donne italiane in postmenopausa affette da artrite reumatoide è particolarmente elevata e, conseguentemente, è aumentato il rischio di fratture da fragilità rispetto alla popolazione generale. Ma c’è ormai evidenza di aumentata incidenza di osteoporosi e fratture da fragilità ossea anche in coloro che sono affetti da lupus eritematoso sistemico, spondilite anchilosante e sclerodermia. La patogenesi dell’osteoporosi associata a malattie reumatiche è multifattoriale, riconoscendo essenzialmente sia meccanismi specificamente legati alla natura delle diverse malattie, sia meccanismi riconducibili ai farmaci impiegati per il loro trattamento. Tra questi il cortisone, un farmaco largamente utilizzato in reumatologia ma fortemente osteopenizzante e, pertanto, in grado di aumentare considerevolmente il rischio di fratture. Per tali motivi è necessario che quanti sono colpiti da malattie reumatiche, specie se in trattamento cortisonico, vengano attentamente sorvegliati non solo per quel che concerne la malattia di base, ma anche per le possibili complicanze a carico delle ossa.

Attualmente l’approccio alla frattura del femore si concentra quasi esclusivamente nel trattamento chirurgico – spiega il prof. Umberto Tarantino, Presidente GISOOS – trascurando in parte la cura della patologia scheletrica che ne è alla base e perdendo un’importantissima opportunità per prevenire ulteriori fratture. Fondamentale, per questo, definire un percorso diagnostico-terapeutico per i soggetti con frattura da fragilità, in cui vi sia condivisione di quali indagini diagnostiche effettuare, prima tra tutti la RX rachide, e quali terapie farmacologiche utilizzare. Un percorso nel quale l’ortopedico deve far parte di un team multidisciplinare che possa garantire un percorso mirato, basato su una sinergia stabile tra le diverse specialità favorendo la nascita delle Fragility Fractures Units.

 Versione stampabile




Torna