Con Bruce WILLIS, Radha MITCHELL, Rosamund PIKE, James Francis GINTY, Boris KODJOE, Ving RHAMES

Il mondo dei replicanti di Jonathan Mostow

  Cultura e società   

“Il mondo dei replicanti” appartiene a quel filone della fantascienza che potremmo chiamare fantaciviltà: storie in cui i protagonisti non sono invasori marziani o mostri piovuti sulla Terra dallo spazio profondo, ma siamo noi stessi, o meglio i nostri discendenti che abiteranno la Terra nel futuro.

È curioso notare come spesso scrittori e registi, quando vogliono produrre lavori di fantaciviltà, collochino l’azione in un momento non lontanissimo nel tempo, ma a distanza di pochi decenni. George Orwell nel 1948, invertendo le ultime due cifre, scrive il suo “1984” ambientato 36 anni dopo; Ridley Scott nel 1982 gira Blade Runner che si svolge nella Los Angeles del 2019, 37 anni dopo. Queste immaginazioni a così breve gittata espongono l’autore a delicati confronti con la realtà storica. Il 1984 è ormai quasi preistoria, e per fortuna le sue tristi premonizioni non si sono avverate (qualcuno potrebbe dire “non ancora”, visto che il Grande Fratello impazza in televisione, e che al posto del Ministero dell’Amore preconizzato da Orwell sembra stia per nascere il Partito dell’Amore, ma questa è un’altra storia …). Quanto a Scott, il 2019 non è ancora arrivato, ma ormai mancano solo tanti anni quanti ne sono passati da Ground Zero, e se in questi anni non si è ancora minimamente riusciti a sconfiggere il terrorismo c’è da dubitare che in altrettanti anni si realizzino i replicanti e le colonie extramondo di Blade Runner.

“Il mondo dei replicanti” saggiamente non precisa in quale data del futuro si svolgerebbe l’azione, ma anche qui la trama è decisamente inquietante, anche se l’atmosfera è decisamente meno tetra che nei due lavori sopra citati, e se c’è l’happy end che in un film della Disney francamente non giunge inaspettato. Commentando il film all’uscita abbiamo riscontrato due considerazioni predominanti: da una parte l’auspicio che l’umanità non arrivi mai a vivere una situazione del genere, dall’altra il dubbio che i continui progressi della scienza ci stiano invece portando proprio in quella direzione.

Sulla stampa si susseguono annunci di mani artificiali comandate dagli impulsi elettrici del braccio, di occhi artificiali dove il sensore a semiconduttori parla direttamente con il nervo ottico. Tutte grandiose conquiste scientifiche che naturalmente hanno lo scopo primario di ridare funzionalità e vita soddisfacente a tanti poveri pazienti menomati per nascita o per incidenti. Ma il film costringe in effetti a chiedersi cosa potrebbe diventare l’umanità se davvero certe realizzazioni si spingessero troppo in là. Ci viene mostrato un mondo in cui tutti gli esseri umani (a parte una piccola comunità di dissidenti ecologisti anti modernità, specie di moderni Amish, che vive recintata in una sorta di riserva indiana) hanno a disposizione un replicante cyborg (“surrogo”) al quale fanno svolgere tramite collegamento telepatico tutte le pericolose o semplicemente faticose funzioni della vita quotidiana, mentre l’umano (“operatore”) si limita a stare pigramente sdraiato nella apposita poltrona che assicura la connessione telepatica. Il ricorso ai surroghi non ha unicamente lo scopo di delegare ad una macchina il lavoro fisico, ma anche o soprattutto quello di presentarsi nel mondo esterno con un aspetto giovanile, atletico e gradevole, nascondendo nel chiuso della propria casa e della propria poltrona rughe, calvizie e ogni altro segno del tempo che passa. Una specie di Second Life in cui l’identità alternativa non è affidata ad un avatar virtuale ma a corpi in carne ed ossa, pardon, in plastica e metallo.

Naturalmente, come in ogni buon film d’azione, ne “Il mondo dei replicanti” non mancano effetti speciali, scene di combattimento e di inseguimento che tengono lo spettatore con il fiato sospeso, e qualche immancabile risvolto sentimentale. Il disegno psicologico dei personaggi è abbastanza standardizzato, con il protagonista uomo di legge che gradualmente capisce non esserci sempre un confine netto tra bene e male, con la megacorporation di turno pronta a ricorrere a ogni mezzo in nome del profitto, con lo scienziato che prima crea il suo Frankenstein e poi, quando gli sfugge di mano, si impegna per distruggerlo.

Comunque la trama è ben congegnata e il film può essere seguito con piacere e partecipazione anche dallo spettatore in cerca solo di evasione.

A nostro parere però saranno molti di più coloro che all’uscita dalla sala si troveranno a riflettere sul mistero insondabile ed inquietante del futuro che attende i nostri discendenti.

Ugo Dell´Arciprete

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