A Palazzo Fortuny, Venezia

Franco Vimercati. Tutte le cose emergono dal nulla

  Cultura e società   

Palazzo Fortuny come ogni anno, anche in concomitanza con la stagione autunnale, ospita all’interno dei suoi suggestivi spazi una serie di progetti espositivi di artisti contemporanei le cui opere in qualche modo  si confrontano con la figura di Mariano e, l’ineguagliabile atmosfera del luogo, con le sue eclettiche creazioni, le collezioni, i tessuti e i dipinti.

Protagonisti di questa edizione sono quattro artisti – Franco Vimercati, Annamaria Zanella, Maurizio Donzelli, Béatrice Helg – diversi tra loro, per provenienza e caratteristiche, ma accomunati da una medesima tensione artistica.

Il piano terra e sale laterali al piano nobile del Palazzo ospitano la mostra: Franco Vimercati.  Tutte le cose emergono dal nulla. La grande mostra personale dedicata a Franco Vimercati (1940-2001), a cura di Elio Grazioli, con il progetto di allestimento di Daniela Ferretti, è senz’altro la più esaustiva dedicata a questo artista che aveva trovato nella fotografia il suo mezzo espressivo d’elezione e copre il periodo dagli anni Settanta fino alla sua morte avvenuta nel 2001.

Artista straordinario, Vimercati, dopo gli studi all’Accademia di Brera si avvicina al mondo dell’arte che negli anni Sessanta ruotava attorno alle gallerie milanesi e al mitico Bar Jamaica. Ben presto si rende conto che nella fotografia si concentra non solo il suo interesse ma anche il suo mezzo favorito di espressione. Conosce presto il lavoro di grandi fotografi quali Diane Arbus, Lee Friedlander, Robert Frank e soprattutto August Sander. Come lui, Vimercati è sostanzialmente un contemplativo, non interessato all’azione come tale, ma ama piuttosto concentrarsi su un unico soggetto, facendo proprie le esperienze concettuali e minimaliste. Fin dall’inizio emerge l’idea di serialità,  da qui già nel 1975 le immagini di piastrelle e due anni dopo quelle delle doghe del parquet, fino al grande lavoro delle 36 fotografie di bottiglie di acqua minerale Levissima. Trentasei scatti uno diverso dall’altro, tutti in bianco e nero. Questo interesse si esprime in seguito in quello che è considerato il suo lavoro più rappresentativo, il ciclo delle terrine di porcellana. Una ottantina di fotografie in un arco di tempo a partire dall’83 fino al ’92. Decide quindi di lavorare sulle variazioni come in musica.

Vimercati non ama la folla, il mondo delle gallerie d’arte, il mondo esterno in generale, la sua casa diventa il suo spazio e gli oggetti che vi trova i suoi soggetti. Si tratta di piccoli vasi, di un bicchiere di un ferro da stiro, di una  grattugia, di un bricco del latte, della Bialetti. Come diceva lui stesso: si tratta del piacere di lavorare senza essere disturbato dal soggetto. A me interessava che scoccasse la fotografia - ha detto - non mi interessava leggere l’oggetto, ma assistere ogni volta a questo miracolo.

E il miracolo si ripete ancora nelle immagini rovesciate ovvero così come sono realmente “viste” dalla macchina fotografica e in quelle sfuocate che, come ci precisa, non hanno neppure la fase della messa a fuoco. L’effetto è meraviglioso: più che fotografie ci sembra di vedere effetti luminosi quasi di sogno. Siamo di fronte a infinite variazioni dal nero al grigio, con qualche tocco più chiaro, che smaterializzano l’oggetto facendoci varcare la soglia della poesia.

Le immagini nelle fotografie vengono a volte ingrandite, dando all’oggetto una presenza particolare, quasi senza sfondo, esaltandone le forme in senso astratto.

Altre volte vengono rimpicciolite facendo riferimento, come Vimercati stesso annotava, alla precisione delle incisioni degli antichi maestri.

Nel 1999 inizia il ciclo di immagini sovrapposte che danno l’effetto di un tremolio, forse la rappresentazione di una rotazione del soggetto, come risulta più evidente l’anno seguente in una piccola serie raffigurante un bricco del latte.

Vimercati viene spesso paragonato a Morandi, pittore che  amava anche se non si identificava, ambedue avevano questa tendenza a fare dell’oggetto comune un pretesto per avvicinarsi a mondi e sentimenti diversi. Le sue fotografie hanno quasi la funzione del mandala: guardandole entriamo in uno spazio fatto di sentimenti profondi, una porta che sta solo a noi varcare.

Nel 2001 Vimercati muore improvvisamente privandoci  non solo di un grande artista  ma di un uomo meraviglioso, il cui carattere schivo ha fatto nascere una leggenda che lo vuole un recluso in costante meditazione su un unico oggetto, quasi fosse un eterno mantra che prende di volta in volta forme diverse ma è in essenza la stessa cosa.

Lui minimizzava, dicendo che credeva sostanzialmente solo nel lavoro, nell’etica del lavoro, nel piacere del lavoro senza più essere disturbato dal soggetto. Credeva nella possibilità di  togliere pian piano alla fotografia la parte letteraria finché non rimanesse nient’altro che lo scatto.

Vimercati si esprimeva attraverso la fotografia come artista e come uomo, lui e la sua opera erano la stessa cosa, come diceva lui stesso: ”io sono la lastra, ho bisogno di poca luce, di un sospiro, di un soffio di luce".

In concomitanza con la mostra esce la prima monografia dedicata a Franco Vimercati a doppio marchio John Eskenazi/Skira Editore, dove vengono pubblicate le sue opere più rappresentative e una lunga bellissima intervista con Elio Grazioli da lui stesso letta e approvata. Ad essa si aggiungono numerosi testi di differenti autori che ripercorrono la sua carriera, tra questi Paolo Fossati, Luigi Ghirri, Angela Madesani, Giuseppe Panza di Biumo, Carlo Arturo Quintavalle, Daniela Palazzoli.

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